..ma a me piace anche il cinema..

lunedì 30 gennaio 2017

raccontoimprovvisato - fantasy classico - gennaio 2017

Buonasera amici e scusate l'ora.
Dopo il grande successo dell'iniziativa #raccontoimprovvisato nel gruppo "scrittori e lettori fantasy" di Facebook (qui il link al gruppo https://www.facebook.com/groups/558862187586176/ ), si è deciso di raccogliere tutti e quattro i racconti, di vari generi fantasy e farne un unico post qui.
di seguito troverete il fantasy classico, scritto a più mani, seguendo gli sviluppi dettati dalla fantasia dei vari partecipanti! buona lettura!!!

Era una notte fredda, la neve aveva ricoperto qualunque cosa e l'oscurità era illuminata da una luna piena che rifletteva la sua luce sul manto bianco.
Zoya e Deso correvano tagliando l'aria ferma e gelata, spezzando il silenzio ovattato che li circondava con il rumore dei loro passi frettolosi. Scappavano verso il bosco, scappavano lontani da qualcuno, qualcuno che li cercava per ucciderli. I pensieri dei due ragazzi correvano veloci come le loro gambe e inciampavano spesso negli istanti appena trascorsi, in quella casa buia e spaventosa, con quell'uomo che li aveva torturati con incantesimi proibiti, con la magia oscura, con parole che avevano anche paura di pensare.
Lui voleva sapere, voleva conoscere l'esatta ubicazione dell'amuleto, l'amuleto che si credeva perduto, nascosto dagli stregoni bianchi secoli addietro. Il segreto era tramandato di padre in figlio nelle famiglie di Zoya, ultima erede della famiglia Deyron, e di Deso, ultimo della discendenza degli Zydra.
Se il mago oscuro fosse riuscito ad estorcere quell'informazione, dalle menti stanche dei ragazzi, sarebbe stato l'inizio della fine del loro mondo.
Quando i ragazzi arrivarono al limitare del bosco, si fermarono di scatto, col fiato sferzato per la lunga corsa, le gambe dolenti a causa delle torture dei giorni precedenti.
«Che facciamo?», chiese Zoya a Deso tenendo lo sguardo nell'oscurità della foresta. Cadevano dei fiocchi di neve, che si attaccavano ai capelli lunghi dei due ragazzi. Il freddo pungeva sferzante sulle loro mani, prive di guanti imbottiti. Vrenno li aveva spogliati; si era fatto aiutare da qualcuno, che era rimasto nell'ombra mentre li torturava e ripeteva la stessa domanda da ore, ma loro non avevano mai vacillato. Erano stati addestrati per sopportare la magia del sangue.
«Allontaniamoci da qui», rispose Deso guardando davanti a sé l'immensa brughiera ricoperta dalla neve. «Quel bastardo non si arrenderà. Sa quali informazioni abbiamo.»
«Sa fin troppe cose», replicò Zoya senza esitare.
«Ad esempio?»
Zoya non rispose e Deso, non capendo il perché di quel silenzio improvviso, le si avvicinò.. in tempo per cogliere quel suo sguardo dilatato, assente, lontano anni luce nello spazio e nel tempo. Conosceva quello sguardo, se Zoya era fisicamente lì insieme a lui la sua mente era altrove, in balia di chissà cosa, in chissà quale altro contesto, in tempo per vedere chiaramente Vrenno urlare ordini a destra e a manca, livido di rabbia, resosi conto degli eventi sfuggiti al suo maniacale controllo. "É molto, molto arrabbiato.." mormora infine Zoya, sfinita, al termine di quell'insolita visione.
Udendo quelle parole, Deso sospirò col suo tipico sorrisetto altezzoso. «Da lui non mi aspetterei altro. È un fanatico. Se non sacrifica qualcuno un giorno sì e l'altro pure, si rattristisce. È arrabbiato? Be', pensa quando è triste, dannato lui. Ora che cerca con ostinazione quell'amuleto, immagina quanto sia incline a uccidere.»
Zoya non si sapeva spiegare in che modo Deso potesse scherzare. Erano stati torturati e quasi uccisi, e quello stregone li stava ancora cercando. Lo avvertiva.
Mentre Zoya si incupiva nel rimuginare, una luce bianca, abbacinante, li investì con tutto il suo calore.
«Seguitemi, forza!» Una figura luminosa, una donna bellissima, lasciò i due ragazzi a bocca aperta, Deso protestò «Ma lui ci vedrà!» espresse senza indugio la sua preoccupazione. La luce emanata dalla donna era così forte che l'avrebbero di sicuro vista anche nelle viscere della terra, ma la creatura luminosa sorrise di una dolcezza di cristallo e li attirò a sé muovendo appena una mano, in un gesto delicato. I due fanciulli si sentirono sollevare da terra e trasportare verso la donna «Ma, ma... Ma chi sei?» chiesero in coro, prima di sparire alla vista di chiunque...
I due giovani erano avvolti da una luce calda, sinuosa e sembrava che risanasse le loro ferite. La paura che li aveva accompagnati sino a quel momento era qualcosa di lontano, quasi un vago ricordo. C'era quella donna dai lunghi capelli di seta che li osservava con occhi azzurri nei quali, pareva si potesse ammirare il cielo. Quella creatura meravigliosa, senza parlare avvicinò le sue mani a quelle di Zoya e Deso e, con chissà quale prodigio, fece comparire sui loro palmi degli strani disegni che si impressero sulla loro pelle.
Nel frattempo il mago oscuro era decisamente fuori dalla grazia divina: dopo aver sguinzagliato i suoi sgherri affinché lesti si fossero messi sulle tracce dei due fuggiaschi, aver impartito ordini per alzare al meglio la guardia e quindi cercare di individuarli il prima possibile, misurava con i propri passi la Sala principale del suo maniero, come un leone in gabbia, imprecando sommessamente tutti gli improperi che gli capitavano per la testa. "Signore, non è così che li troveremo" incalzò uno dei suoi lacché "troppa rabbia avete in corpo, rischierete così di sfruttarla nel modo peggiore" cercando di dargli qualche consiglio. Il mago sentiva salire dentro di sé un'energia nuova, molto potente, decisamente molto forte e mai sentita prima, capace di infondergli quella netta sensazione di essere invincibile, straordinario, impossibile da scalfire e decisamente migliore rispetto a chiunque.. no, nessun corso di autostima alle spalle per percepire tutto ciò, solamente la netta sensazione nell'avvertire il risveglio di qualcosa finora rimasto silenzioso e dannatamente latente.
Vrenno volse lo sguardo verso Mirak, uno dei suoi servitori più fedeli. Ammirava allo specchio la sua figura vestita con un lungo abito nero, che celava il corpo straziato a causa di un passato nefasto che ora stava tornando per minacciarlo.
«Sono fuggiti a causa della tua negligenza», sibilò Vrenno calandosi il cappuccio sul capo, i suoi occhi rossi che riflettevano sullo specchio. «Ma niente è vano; neanche la loro fuga. Ora è tutto più chiaro.»
Intanto Zoya e Deso, ancora affascinati da quei simboli luminescenti sulle mani, venivano condotti attraverso cunicoli di pietra e radici d'albero, al cospetto dei Signori della Foresta.
Difatti era là al centro della sala delle sfere, che la dama di luce terminò il suoi passi. Il suo bagliore si era quasi del tutto spento e con il suo ultimo scintillio , rese omaggio ai sovrani assisi suoi loro rispettivi troni. Zoya imitò la donna nell'inchino e strattonò Deso affinché si inginocchiasse, visto che era rimasto con la bocca spalancata a fissare le due semi-divinità.
"Zoya, Deso , avvicinatevi! Voi discendete dalle nobili stirpi di Deyron e Zydra, nostri alleati dalla notte dei tempi. In virtù di questa antica alleanza siamo accorsi in vostro aiuto, poiché proteggere l'amuleto è compito della vostra gente ma anche nostro!"
Mentre il Re della foresta parlava le ferite sui corpi dei ragazzi lentamente svanivano, risanate dal magico propagarsi della luce che si espandeva dai simboli luminescenti sulle loro mani.
Magia richiama magia, lo sappiamo tutti ormai, infatti Vrenno sentì tra le labbra l'aspro sapore del presentimento: tutt'altro che rilassato - il solito infuso di biancospino e Melissa a nulla sarebbe servito questa volta - si avvicinava senza indugi al leggio che al solito ospitava il suo Libro del Saper Tutto. Ringalluzzito dall'entusiasmo del momento, le mani frenetiche sfogliavano le antiche pagine sino a scovare quella desiderata "Eureka!" gridò, con tono entusiasta, facendo cenno al suo servo di avvicinarsi a lui "tieniti pronto: sto per aprire un varco temporale per poterli riacciuffare! Muahahahahah".

Zoya e Deso si guardarono per un istante, increduli per ciò che udivano le loro orecchie. Avevano udito molte storie sui Re della Foresta, e sui loro poteri di guarigione che in quel momento li stava guarendo dai patimenti di alcuni giorni prima.
«Grazie», affermò Zoya facendo un passo in avanti verso il trono del Re, non percependo più dolore alle gambe. «Se non fosse stato per voi, noi...»
Il re, che si alzò dallo scranno, intervenne prima che potesse finire: «Se intendete fermare Vrenno non potete restare qui. Lucia vi ha condotto su questa strada affinché poteste riposare. Siete ospiti in questa terra, e nient'altro.»
«Padre, sono alleati, non nemici. Hanno bisogno di ben altro che di queste parole», commentò la giovane dama, affiancandosi a Deso. «Il loro popolo è minacciato. Dobbiamo avvertire il loro re, affinché le armate giungano alla foresta.»
Re Breus la fissò con freddezza. «Nessun esercito entrerà nella nostra foresta. Che mangino e dormano al sicuro, dietro i nostri alberi. Più di questo noi non possiamo fare.»
Il varco che Vrenno riuscì ad aprire pronunciando parole oscure, che riecheggiarono tutto intorno intimorendo il suo servo, lo portò nella foresta, tra gli alberi secolari immersi nel candore della neve, lui si guardò intorno senza capire.
Intanto, nelle profondità della terra, il re Breus sentì vibrare le radici dei suoi amici alberi, mossi da una forza oscura, così capì, capì che il male si era infiltrato in quei luoghi sacri.
"Lucia, nascondi i nostri ospiti e dà loro qualcosa che li rinvigorisca, vestili e curali, e tu Madex, chiama le guardie: andiamo in superficie" disse voltandosi verso il capo delle guardie che aveva osservato le scene dall'ombra della sala del trono.
Il silenzio che la neve è capace di creare è qualcosa di innautrale, ovattato, lontano ed affascinante: inerdetto si trovò Vrenn inizialmente, giacché guardandosi intorno non si vedeva null'altro se non natura e bosco. Un improvviso mal di testa, però, con annesso pizzicore dietro la nuca laddove il marchio dell'ordine in cui aveva fatto l'apprendistato era ancora visibile, lo avvertiva di quanto la luce potesse essere effettivamente nei paraggi.. "Si.. li sento" gracchiò il seguace che si è portato appresso "Sento i loro odori, la loro paura, ma qualcosa mi impedisce di comprendere bene dove si trovano" rivelò, dando così informazioni al Padrone in attesa.
"Vogliamo venire anche noi!!" gridarono Zoya e Deso nell'udire le disposizioni del Re "E' colpa nostra se Lui è qui.. vogliamo aiutarvi!" consapevoli del pericolo imminente.
Il re li ignorò, prese la spada che gli porgeva Madex e si avviò verso una porta che si apriva nel buio più profondo della terra. Lucia prese per mano i due ragazzi, rimasti increduli dalla poca considerazione che il re aveva dato alla loro presenza lì, li trascinò via pregandoli di non fare storie; li portò in una stanza adiacente, piccola ma accogliente, in cui erano stati portati abiti puliti ed acqua calda.
Si lavarono controvoglia ed indossarono quegli abiti caldi e comodi, ma poi qualcosa catturò la loro attenzione, una serie di urla strazianti che provenivano dalla superficie, segno che qualcosa di orribile si stava consumando sulle loro teste; in quel momento le loro mani si cercarono e, quando si trovarono, una forte luce li avvolse, un potere che non avevano mai saputo di avere dentro loro stessi si sprigionò e si sentirono trascinare verso l'alto.
Si ritrovarono ad aleggiare sullo scontro violentissimo tra le forze del bene e le forze del male. Spade lucenti scintillavano inutilmente contro nemici protetti da un'aura magica che li rendeva inattaccabili e invincibili. Sembrava che tutto stesse per compiersi a vantaggio del perfido Vrenn e della sua schiera malefica quando Zoya e Deso riuscirono a proiettare un fascio della luce splendente che li avvolgeva giù nella mischia.
Il bagliore, intenso e caldo, raggiunse i duellanti, investendo in pieno tutti quanti. Ma, mentre il Re della foresta e i suoi uomini beneficiavano di quel dolce tepore, Vrenno e i suoi accoliti cominciarono ad avvertire un fuoco sulla pelle. I fascio di luce dei due giovani stava cominciando a consumarli rapidamente: due dei servi di Vrenno già si dimenavano al suolo.
"Nooooo" ringhiò Vrenno, nel vedere i suoi diventare vittime di quel maledetto incanto luminoso "io voglio l'amuleto e lo avrò, costi quel che costi!!" visibilmente adirato, pieno di sé, spocchioso nonostante tutto. Sollevava il braccio destro lentamente, quel tanto che bastava per poter così alzare il bastone che reggeva in quella mano, suo compagno fidato di scorribande di questo tipo: pochissimi gli istanti, forte l'ammasso di energia richiamata, mentre la mente si dilatava il giusto sì da cercar nei forzieri della conoscenza il necessario da adoperare al momento.. attimi, come se tutto intorno si fosse fermato, apprezzando il bruciore dell'ars che sotto la pelle spinge e si muove, come fiume in piena che scrosciante e poderoso minacciava la rottura prossima degli argini ormai deboli, così prorompente fu il flusso magico che rispose all'antico richiamo e quand'Egli, con gesto maestoso ed elegante, energico e convinto, riabbassò quel braccio sì da permettere all'estremità inferiore del bastone di cozzare contro il terreno: un lampo squarciò il terreno sottostante, lasciando così che guizzi di luce nera come l'inchiostro più puro potessero diramarsi e cercare, violentemente, di farsi strada sino ai suoi Adepti e, raggiuntili, innalzare una sorta di coltre oscura a mo’ di barriera, capace di lenire le ferite - forse - e di rinvigorire coloro che si erano piegati sotto l'attacco nemico "Aaaaaaaaaaaaah" un urlo liberatorio, il suo, mentre nella mano il bastone prese a vibrare, catalizzando l'energia accumulata sicché l'incanto potesse effettivamente andare a segno. Non fu chiara la durata, certo, ma fu necessaria per cercare quanto meno di far resistere le sue fila.. "Non dobbiamo mollare... mai!!!" accompagnato da un ringhio sconosciuto.
Ma, proprio mentre Vrenno credeva di aver rinvigorito sufficientemente le proprie forze, qualcosa accadde davanti a Zoya e Deso: l'amuleto si materializzò.
Incanalando dentro sé la luce emanata dalla coppia, l'antico manufatto la restituì con forza decuplicata in direzione dei servi dell'oscurità. Una smorfia di rabbia e paura apparve sul volto rugoso di Vrenno.
Colto dall'immane potenza della luce, Vrenno dovette abbandonare ben presto l'incanto con cui sosteneva i propri seguaci per poter difendere se stesso. In un batter d'occhio, questi vennero carbonizzati e ridotti in cenere. La barriera d'energia magica, però, non era sufficiente a garantire l'incolumità sia di Vrenno che del suo fedelissimo: abbandonó anche lui al proprio destino.
Ormai solo, Vrenno contava di riuscire a difendersi fino all'esaurimento di quell'attacco luminoso. Con sua somma sorpresa, però, l'intensità del potere scatenato dai ragazzi attraverso l'amuleto non accennava a scemare. Tutt'altro!
Il mago oscuro dovette scavare a fondo per resistere alla forte pressione esercitata su di lui; il popolo della foresta vide i suoi tratti mutare, la sua pelle raggrinzire sempre più sotto il peso della colonna di luce.
Schiacciato al suolo, Vrenno era a un passo dal cedere quando una voce sinistra echeggiò tra gli alberi: la voce di chi aveva mosso i fili fin dal principio; la voce di colui che aveva instillato la brama di potere nella debole mente di un giovane Vrenno.
"Sei sempre stato un incapace" esordì quello che pareva un uomo, ormai avanti con l'età, che sosteneva il suo passo incerto e sbilenco su un bastone la cui estremità superiore pareva luccicare di color rosso rubino. "Sono bambini, ragazzetti, giovani.. e tu qui, a farti piegare dal loro insulso potere per cosa poi?" lo provocò, lo rimbrottò, come solo un Maestro fa con il suo non più giovane Allievo "Prima te li sei fatti sfuggire e ora.. ora hai l'Amuleto lì, a un passo da te e cosa fai..?" blaterava, muovendosi lentamente verso la zona del contrasto.
"Avevo riposto in te grandi speranze, Vrenno. Contavo di poter riavere più di quanto avevo lasciato anni fa", continuò il mentore del mago oscuro, "e invece tu mi costringi a tornare in questo mero simulacro."
Con tono sadico concluse la propria invettiva: "Vorrà dire che farò mia la tua carne!"
Dal suo bastone si propagarono una moltitudine di spettri che andarono a schermare la luce proveniente dall'amuleto; nel contempo il mentore calò sul suo allievo appropriandosi del suo corpo stremato.
Il corpo di Vrenno si sollevò dal terreno; gli spettri, ormai sazi della luce assorbita fin quasi a estinguerla, vennero risucchiati nuovamente nel bastone. Le fattezze del mago oscuro, da grinzose qual erano diventate poco prima, ripresero colore e tonicità; due occhi rossi come la brace rilucevano sinistramente sul suo volto.
"Vivo! Ancora un volta, vivo... e potente!", decretò, scagliando scariche oscure che prostrarono tutti i presenti.
Le spettrali emanazioni si contorcevano intorno al corpo del mago oscuro, quindi si allungavano per ammorbare la natura tutt'intorno: l'erba, i fiori, gli insetti, tutto moriva; gli alberi venivano spogliati delle proprie chiome. Il nefasto essere si beava di ciò, ma il suo godimento maggiore gli veniva dagli sguardi atterriti degli abitanti della Foresta. Più questi mostravano timore più lui si sentiva inarrestabile.
"Ekreon, infine sei tornato tra i mortali... proprio com'era stato predetto dal nostro avo comune", dichiararono i due nuovi venuti che, intabarrati in pesanti armature, si ergevano al limitar del campo di battaglia.
Il corpo di Vrenno altro non era che un simulacro d'un qualcosa privo di vita: al posto suo, invece, tutt'altro si ergeva ormai, ed era un nuovo nemico da sconfiggere per i nostri giovani eroi. Zoya e Deso rimasero di stucco "No.. non era previsto, tutto questo" mormorarono insieme, provati anche loro dallo sforzo della battaglia. L'alba del nuovo giorno sembrava ancora lontana, le tenebre di quella notte sembravano essere più pesanti del solito, lasciando che solo la luce delle creature del bene potesse pulsare al meglio, facendosi notare.
"Finalmente..." si girò il vecchio, sollevando quel bastone, mostrando a tutti d'essere terribilmente ringiovanito, tutt'altro che ingobbito, nuovamente forte, prestante, nuovo, come se fosse rinato "Per tutti questi anni ho atteso che quell'idiota del mio Allievo facesse tutto questo per me.. che usasse l'incanto proibito per poter finalmente piegarsi al mio potere.." spiegò, attirando l'attenzione dei presenti. "E ora..." guardando i due ragazzi "Consegnatemi l'Amuleto: è mio, è sempre stato mio perché io l'ho creato e a me deve tornare.. " tendendo la mano, restandosene in attesa.
Ekreon dovette arrestare il suo avanzare in direzione dei ragazzi quando nuove voci ne richiamarono l'attenzione.
"Zyall... Dellion...", pronunciò, a metà tra l'incredulo e il gioioso, il re della Foresta vedendo i suoi alleati - nonché genitori dei ragazzi - esser giunti per dar man forte assieme ai loro seguaci.
"Alzati, re Breus. Il tuo popolo può ancora battersi per la propria sopravvivenza", lo incitò Dellion.
"Se uniamo le forze, quest'essere immondo lascerà presto queste terre... una volta per tutte", gli fece eco Zyall.
Invaso da un tumulto rabbioso, Ekreon liberò i propri spettri contro i paladini appena giunti. La sua rabbia crebbe nel vederli respinti con facilità da uno dei due.
"Come ti dicevo, Ekreon, il nostro avo è stato lungimirante." Dellion parlava con calma, forte dell'arma che stringeva in pugno. "Tenendoti nascoste alcune pagine del Luminarium, ti ha privato del sapere su Exilia, la spada di Luce. Essa e l'Amuleto, assieme, ci daranno modo di esiliarti per sempre da questo mondo."
"No. Non sono... Non posso essere soltanto... Cenere. Non dopo quanto ho fatto per il maestro. Io... Io sono stato... Tradito", pensò Vrenno sbarrando gli occhi all'improvviso. Il cielo sopra di sé era nero. Mentre si rialzava adagio, percependo l'odio dentro di sé che lo aveva colmato per tutti quegli anni, udiva le voci dei suoi avi e di chi un tempo era stato suo mentore. Gli ripetevano di finire il lavoro, uccidere chiunque avesse di fronte e fosse pronto ad attaccarlo di nuovo. Reggendosi a stento in piedi, avvertiva la sua anima priva dell'oscurità di cui era stato servitore, e gli sembrava di scrutare la luce di un passato che aveva dimenticato. Respirava l'aria densa e fredda di quel giorno, le mani lungo i fianchi e pronte a colpire.
«Non amo chi mi colpisce e poi scappa», sibilò. «Non lo amo... Per niente.»
Ekreon era furente. Scatto verso i paladini e fece guizzare nuovamente i suoi spettri. Dellion sorrise. Zyall gli si porto davanti e, alzando lo scudo di giada e ametista, parò l'attacco con non poco sforzo; Dellion portò indietro il braccio con cui reggeva Exilia e poi la scagliò via. La spada si conficcò nel terreno a pochi passi da Deso.
"Prendila, figliolo! Uniscila all'amuleto e incanala assieme a Zoya la Luce che avete dentro di loro.
Ekreon urlò, realizzando d'esser stato sviato, e tornò lesto sui suoi passi con gli artigli protesi. Prima che raggiungesse i ragazzi, ancora impreparati alla difesa, qualcosa lo bloccò. Le preghiere di Breus, e della sopraggiunta regina Andelia, avevano persuaso gli alberi a vincere la paura dell'oscurità. I rami si erano allungati, imprigionando Ekreon in una fitta gabbia legnosa.
Deso, spronato ancora una volta dal padre, aiutò Zoya ad alzarsi, recuperò Exilia e incastonò l'amuleto nel centro del forte della spada. I due ragazzi, reggendo entrambi l'arma, fecero esplodere la loro Luce, concentrandola nella lama di Exilia attraverso l'Amuleto.
Ekreon frantumò la gabbia con gli spettri ma non ebbe tempo di portare un attacco: il fendente di luce già incombeva su di lui. Fece l'unica cosa possibile, si schermò dietro un oscuro scudo di spettri. La lama di Luce impattò sugli spettri che, sorretti dallo spropositato potere del loro padrone, ressero il colpo.
"Non amo chi mi colpisce e scappa", sibilò la voce di Vrenno nella testa di Ekreon. "Almeno non finirò da solo nell'oblio eterno."
Il mago oscuro recuperò per un attimo il controllo del suo corpo, quel tanto da far affievolire il potere dato agli spettri.
Il fendente di Luce trovò così un varco nell'oscura barriera, la divise in due e raggiunse il proprio obiettivo.
Ekreon subì il colpo in pieno. Il calore lo invase, lo avvolse e lo consumò sotto gli sguardi vittoriosi dei presenti.
Un nuovo giorno, privo di tenebre, si aprì al mondo ormai libero dalla minaccia millenaria.


studio dei personaggi a cura di Francesca Resta


raccontoimprovvisato - distopico - gennaio 2017

Buonasera amici e scusate l'ora.
Dopo il grande successo dell'iniziativa #raccontoimprovvisato nel gruppo "scrittori e lettori fantasy" di Facebook (qui il link al gruppo https://www.facebook.com/groups/558862187586176/ ), si è deciso di raccogliere tutti e quattro i racconti, di vari generi fantasy e farne un unico post qui.
di seguito troverete il distopico, scritto a più mani, seguendo gli sviluppi dettati dalla fantasia dei vari partecipanti! buona lettura!!!

L’alba era ancora un miraggio all’orizzonte. Non era stato facile varcare le mura di Nuova Florentia; entrare agli U.F.F.I.Z.I. era un’impresa impossibile. Gli Uffici Fusione Fenotipi a Iper Zigosi Inversa erano il luogo più sorvegliato e protetto della Seconda Signoria. Gli annuali dei tempi dimenticati narravano di opere di artisti esposte nella galleria, ma l’arte, nel nuovo mondo, era la manipolazione genetica.
La notte si increspò nel sibilo di un hovercraft a impulsi e un fascio di luce attraversò Piazza della Dinastia illuminando una pattuglia di cloni.
Lucas la afferrò per un braccio tirandola a sé nell’ombra della via. Osservarono la piazza: il resto della squadra era al coperto.
«È ora» sussurrò Lucas. Era giunto il momento di attuare il loro folle piano: entrare negli U.F.F.I.Z.I.
Sara annuì e tirò fuori il braccio destro da sotto il mantello. Una serie di perle bioluminescenti avvampò sulla sua pelle, componendo una costellazione che arrivava fino alla punta delle dita. Lucas si tirò indietro e lasciò che la Mutafato facesse il suo lavoro.
Al segnale convenuto, Lucas scoccò una freccia contro il clone più vicino. In contemporanea il resto della squadra uscì allo scoperto attirando su di sé l'attenzione della pattuglia. Sara ebbe così campo libero per avvicinarsi al soldato ferito: dopo averlo toccato le perle bioluminescenti brillarono sul suo corpo modificandone l'aspetto.
Aveva assunto le sembianze del soldato. Da quel momento avrebbe proseguito sola, mentre Lucas l'avrebbe attesa al punto di incontro. Se non l'avesse vista nell'arco di un'ora, l'ordine era di abbandonare la missione e anche lei.
Con un'arma minuscola, fece fuoco sul clone a terra e lo vaporizzò all'istante. Si unì quindi agli altri cloni impegnati a respingere il gruppo di assalitori; al segnale convenuto, questi ultimi si dileguarono velocemente.
Tornata la calma nella piazza, il capopattuglia dei cloni ricevette l'ordine di fare rapporto immediato; l'hovercraft e una nuova pattuglia ripresero l'attività di vigilanza del sito.
Sara aprì gli occhi e si mise seduta. La candela della notte segnava l'arrivo dell'alba, ma era ancora buio fuori. La pendola ticchettava indisturbata nel silenzio e le faceva eco solo il crepitio del caminetto acceso. Scese giù dal letto, avvolgendosi nella coperta di lana, ricordo di sua nonna Sara, da cui aveva ereditato il nome e a piedi nudi i suoi passi scricchiolarono sul legno tarlato del pavimento. «Di nuovo quello strano sogno» pensò in un sussurro, mentre aggiungeva legna al fuoco e vi si sedette accanto.
Fuori della finestra il sipario della notte stava per sollevarsi, pronto a lasciare il posto alla luce incerta e lattiginosa del nuovo giorno. Attraverso il vetro sporco, tenuto assieme da vecchi rattoppi di nastro isolante, Sara poteva ammirare i tetti della sua città, un tempo culla del sapere e adesso ridotta a squallido ricovero per gruppi di lavoratori a giornata, a cui la nuova generazione di cloni aveva rubato il lavoro e le speranze.
Si avvicinò al tavolino in legno, quello vicino alla porta d'ingresso, e sfiorò con la punta delle dita la cornice del portafoto che vi era poggiata su. Il suo sguardo si fece cupo mentre il battito del suo cuore risuonava in quella stanza malmessa. D'improvviso udì un rumore che interruppe quel mistico silenzio. Qualcuno aveva sfondato la porta della sua casa. Dei passi lesti e pesanti salivano le scale cigolanti di quell' abitazione malmessa. Adesso qualcuno era dietro la porta della sua stanza.
Sara avvicinò cauta l'orecchio all'anta della porta, attenta a non fare il minimo rumore. Oltre il legno tarlato avvertiva un roco ansimare, piccoli rumori insignificanti, come lo strusciare di piedi sul pavimento, e infine il lieve scatto metallico di una sicura disinserita. Il respiro, troppo a lungo trattenuto, le bruciava in mezzo al petto e un rombo sordo le ottenebrava l'udito. Ciononostante distinse ugualmente, con raggelante chiarezza, la voce che la raggiunse superando l'esile barriera della porta:" Sara, bambina cattiva, siamo venuti a prenderti. È tempo che qualcuno si decida a correggerti, prima che sia troppo tardi!"
Dal fondo del pianerottolo, a grandi passi si fece strada l'agente K24, meglio conosciuta come Malene, con uno spintone fece spostare l'uomo che aveva appena parlato e con un calcio aprì la porta. Una ventina di uomini armati irruppero nella stanza. La finestra era spalancata e di Sara non era rimasto nient'altro che la coperta di lana di sua nonna. Malene si voltò verso il suo sottoposto «Sei un idiota! Volevi anche cantarle una canzoncina per darle più tempo per scappare?» e poi si diresse velocemente alla finestra «se vuoi che una cosa funzioni fattela da sola, diceva mio padre.» e in un balzo si lanciò fuori, sui tetti.
Sara corse a perdifiato, scalza e terrorizzata, verso l'unico luogo in cui il suo aspetto dimesso e la sua aria stravolta non avrebbero dato nell'occhio: la fontana dei reietti. Là, pur camminando a testa bassa, riuscì senza sforzo a trovare il vecchio Collector: non era più l'uomo di un tempo, potente, arrogante, fiero della sua uniforme bianca, talmente candida da accecarla, ma un reietto piegato dalla vita, cui era stato concesso di vivere solo per via dei suoi numerosi meriti. Quando lui la scorse, spalancò gli occhi stupito e, fulmineo come un tempo, la trasse in disparte, in un vecchio androne lercio e maleodorante. "Non saresti dovuta venire qui! Ci farai ammazzare tutti!"
Sara riassunse così i fatti degli ultimi giorni, partendo proprio dalla sera in cui lei e gli altri avevano messo in atto il loro piano.
Di come, una volta sostituitasi al clone, era entrata negli U.F.F.I.Z.I. e, con scioltezza, s'era intrufolata nei laboratori interni, per giungere infine alle grandi celle refrigeranti dove si conservavano gli embrioni. Del suo tentativo di forzare la serratura elettronica codificata e della conseguente attivazione degli allarmi anti-intrusione: il dispositivo di metamorfosi aveva smesso di funzionare e lei era tornata se stessa.
Era riuscita ad uscire dalla struttura solo attivando l'altro dispositivo in suo possesso, quello che le aveva conferito l'attributo di mutafato: la bolla bloccatempo. Averla tenuta attiva ben oltre i due minuti consentiti l'aveva prosciugata e, stando alle indicazioni della pendola, un sonno lungo due giorni l'aveva tenuta lontana dalla vita reale.
«E ora? Cosa conti di fare?»
«Devo trovare gli altri» rispose Sara mostrando al vecchio la piccola capsula che era riuscita a sottrarre durante la sua incursione. «La partita non è finita.»
«Forse sì.»
«Che vuoi dire?»
«Mi dispiace tanto, Sara, ma hanno mio figlio.»
Damien, il Collector, agguantò la ragazza, bloccandole i polsi e di conseguenza entrambi i dispositivi. Cominciò a urlare a squarciagola per richiamare l'attenzione delle pattuglie di cloni in giro per la città: due di queste apparvero in breve al limitar della piazza.
Damien già pregustava il ricongiungimento con l'amato figlio e, magari, un'ulteriore ricompensa: Lucas e compagni, però, fecero morire sul nascere i suoi sogni di riscatto.
"Vecchio pazzo" sibilò Lucas, puntandogli il phaser all'altezza del cuore, "non crederai davvero che la vita di colei che è destinata a distruggere questo guscio vuoto che chiamiamo mondo possa fare una fine tanto banale!" Anzichè sparargli, lo mandò giù con un calcio e, mentre i suoi compagni si schieravano davanti a loro, pronti a colpire i cloni al loro arrivo, afferrò un braccio di Sara e la tirò a sé. "L'hai presa? Ce l'hai con te?"
Negli istanti che seguirono, scariche di phaser attraversarono la piazza da ambo le parti: alla fine del fulmineo scontro i cloni giacevano riversi sul lastricato. Con essi, però, erano caduti anche tre membri dei cosiddetti Purificatori.
"Fate sparire i corpi", ordinò Lucas, indicando quelli che fino a poco prima erano suoi compagni. "Lui, invece, verrà con noi al covo", concluse facendo un cenno con la testa in direzione di Damien.
Sgattaiolarono tra i vicoli della città coperti dalle ultime ombre della notte e s’infilarono velocemente, uno dopo l’altro nello scantinato segreto che si apriva proprio sotto la veccia basilica di San Lorenzo. Una volta dentro, Sara e Lucas ricompattarono la squadra e cominciarono a pianificare una nuova incursione.
- Dobbiamo agire prima che i cloni ci scoprano – disse Lucas - e questa volta non dobbiamo fallire!
- Io posso aiutarvi … datemi un’altra possibilità, vi prego – supplicò Damien - lì dentro c’è anche mio figlio! Lo tengono prigioniero da due anni ma io sento che è ancora vivo! Conosco gli U.F.F.I.Z.I. come le mie tasche, sono cresciuto là dentro, nessuno conosce il palazzo come me!
Quella stessa notte, Damien condusse il gruppo di Purificatori in un vicolo stretto, apparentemente assai lontano dal loro obiettivo. Attraverso una porticina anonima, però, dopo aver percorso un lungo corridoio buio, questi si ritrovarono ben presto in un ambiente ben più tecnologico di quanto s'aspettassero: gli U.F.F.I.Z.I. erano ora sopra le loro teste.
L'ora della resa dei conti era infine giunta.
Con cautela il gruppo s'inoltrò nei sotterranei stranamente incustoditi, fatta eccezione per un unico clone, mezzo appisolato, davanti a una robusta porta d'acciaio: sbarazzarsene non fu un gran problema.
Forzata la serratura, i Purificatori si ritrovarono davanti un lungo corridoio illuminato e due file di celle sui lati da cui, di tanto in tanto, provenivano lievi gemiti.
"L'ho trovato!", esclamò Damien, "è mio figlio."
Aperta la cella, il Collector si gettò al collo del ragazzo e, passata l'emozione iniziale, lo presentò come Derryll ma Sara, vedendolo in viso, sgranò gli occhi.
"L'ho già visto tante volte... nei miei sogni. Non è mai stato un incontro piacevole", disse lei, indicando poi le piccole chiazze squamose presenti sul braccio e sul collo del ragazzo.
Derryll cominciò a dire qualcosa, ma un rumore di acciaio graffiante lo interruppe. Sara si voltò e trattenne il fiato. Una bestia umanoide, coperta di squame verdognole e alta più di tre metri, veniva verso di loro trascinando una catena chiodata.
"Quella è una Chimera", disse Derryll in risposta alle reazioni sgomente dei presenti. "Senza l'antidoto, presto o tardi, anch'io diventerò un uomo serpente".
I raggi dei phaser presero a illuminare il corridoio appena Lucas, riavutosi, ordinò di aprire il fuoco.
"Siamo stati modificati geneticamente per non avvertire dolore né paura", proseguì il ragazzo, "il signore di Nuova Florentia, dopo aver sistemato voi ribelli, voleva espandere i suoi possedimenti col proprio esercito di mutati".
Dietro la Chimera ne apparvero altre due e tra di loro camminava Malene, con uno sguardo da leonessa. Sara estrasse la capsula dalla giacca e la caricò con la poca energia che le rimaneva nel congegno Mutafato. Si illuminò, rivelando all'interno la figura di un microscopico embrione dalla testa allungata.
Sara ripensò all'incursione precedente, quella in cui aveva rischiato davvero grosso, quella stessa in cui, grazie alla bolla bloccatempo, era riuscita a mettersi in salvo, non prima di aver sottratto quell'embrione dalla camera blindata.
E ora, grazie al replicatore genico, poteva sfruttare il patrimonio genetico del Signore di Nuova Florentia contro di lui. I cloni, e presumibilmente anche le Chimere, erano stati manipolati per obbedire ciecamente a quella sequenza di DNA.
"Si chiama Dominator", disse Sara mostrando ai compagni l'embrione quasi fosse un trofeo. "Lui, e tutti quelli come lui, servono a controllare gli altri. Un progetto ben strutturato, se non fosse caduto nelle nostre mani", concluse con una luce di determinazione negli occhi.
Diede un'occhiata a Derryll e socchiuse gli occhi.
"Portateci dove tenete l'antidoto alla mutazione", ordinò e il minuscolo Signore di Nuova Florentia ripetè le sue parole.
Malene si alzò e fece loro segno di seguirla.
Malene li condusse poco oltre il lungo corridoio, in quello che era apparso fin dall'inizio un laboratorio medico-scientifico. Due uomini in camice bianco parvero allarmarsi alla vista degli intrusi per poi calmarsi e riverire il "mini Signore" appena Sara mostrò loro l'embrione.

"Dovete invertire il processo su Derryll", fece la ragazza. "Dategli l'antidoto. Subito!"
I due non fecero obiezioni, indicando al giovane il medesimo lettino su cui in precedenza gli avevano iniettato l'agente mutageno. "Sta' calmo", esordì uno dei medici in direzione del ragazzo allarmato alla vista degli aghi. "Ci vorranno almeno cinque sedute affinché il pocesso sia annullato del tutto, ma poi tornerai normale."
"No! Non abbiamo tutto questo tempo", sbottò Sara, dando voce all'embrione.
"Mio Signore, usare il dialator non è prudente in questo stadio avanzato della mutazione."
Non scorgendo ripensamenti nel minuscolo essere, i due spostarono il lettino accanto a una macchina; infilarono due cannule nelle braccia di Darryll e, attraverso tubi di gomma in cui presto cominiò a fluire il sangue, lo attaccarono al macchinario purificatore.
"Damien, tu resta con tuo figlio", sentenziò Lucas. "Noi andiamo a far visita a Sua Signoria."
Il gruppo si mosse lungo i corridoi, i sensi in allerta, ma consapevoli del potere che l'embrione avrebbe potuto esercitare sui nemici. Tutte le guardie che incontrarono si piegarono al volere di Dominator. Giunsero davanti alla sala in cui Sua Signoria li attendeva, erano oramai una folla. Il sistema stava collassando e investendo il suo ideatore.
“Vi stavo aspettando” disse Sua Signoria, quando la folla fu al suo cospetto. Il volto dall'età indefinibile non mostrava alcuna sorpresa.
“Anche la quercia millenaria avverte quando il tempo della fine si approssima. A volte bastano un tremolio impercettibile tra le fronde oppure un leggero cedimento del terreno dove le radici si afferrano alla terra bruna. Segnali all'apparenza insignificanti che preludono la rovina.”
Ciò detto Sua Signoria chinò il capo, come un condannato in attesa di un verdetto che non avrebbe tardato.

Sara sporse l'embrione perché portasse a termine il suo lavoro. La piccola creatura strisciò ai piedi di Sua Signoria, gli occhi crudeli puntati sul nemico, e inaspettatamente questi lo raccolse con le mani portandoselo vicino al volto. Il corpo dell'embrione si allungò e, sotto gli occhi esterrefatti di tutti, bucò con una forza inaspettata l'occhio dell'uomo. Un raccapricciante rumore di carni che venivano divorare si mescolò con le urla di Sua Signoria. Quando il processo fu completo, questi contrasse il viso in una smorfia orribile e l'occhio assunse una luce che tutti conoscevano oramai. Fu con la voce dell'embrione che parlò: «Avete agito da sciocchi, credevate davvero che io vi permettessi di raccogliere una capsula e di sottrarmi il potere? Siete perduti, io sin dall'inizio, ho ordito la trama che vi ha condotti qui. Ora morirete e con voi la rivolta.»
Le guardie, sottomesse al volere della creatura, puntarono le loro armi e li circondarono. Non avevano scampo.
Ad un cenno del loro capo supremo, le guardie aprirono il fuoco sul gruppo di Purificatori. Tutti morirono, eccetto Lucas e Sara.
"Non crederete mica che avrei graziato anche voi così velocemente?", ghignò Sua Signoria. "Prima di lasciarvi morire, voglio che tu, ragazza, mi riveli il tuo potere, quello che ti ha permesso di fuggire da qui la volta scorsa senza che io ti vedessi. Lo voglio!"
"Mai!", fu la risposta della ragazza. "Uccidimi pure ma non lo avrai." Nel vedere Sua Signoria indicare Lucas, proseguì con maggior impeto: "Sappi, comunque, che la tua tirannia avrà fine un giorno e Nuova Florentia tornerà libera!"
Sara sapeva di non aver ancora recuperato le energie necessarie ma non aveva altra scelta se voleva trarre in salvo il proprio compagno. Fulminea attivò la bolla bloccatempo; arrischiò un affondo al tiranno, mandato a vuoto da uno scudo d'energia; inglobò quindi Lucas nella bolla e scappò via. Non senza lasciare delle granate a tempo all'interno della stanza.
Si diressero ai laboratori, ma si resero conto che c'era poco che potessero fare. La trappola era scattata anche lì, c'erano numerosi corpi a terra, e raggiunsero il laboratorio in cui avevano lasciato Darryl e il padre temendo il peggio. Trovarono il ragazzo chino sul cadavere del padre. Alzò lo sguardo sconvolto sui compagni. « Sono arrivati prima che il processo fosse concluso. Non so più cosa sono, ma ho fatto fuori molte guardie. Non ho salvato mio padre.»
«Darryl, ora dobbiamo andare. Nulla è andato come avrebbe dovuto, dobbiamo metterci in salvo» disse Sara.
«Perché? A che scopo?»
«Rimaniamo solo noi, siamo l'unica speranza che rimanga a questo mondo.»
«Siamo solo in tre» rise amaramente Darryl.
«Allora, dovremo accontentarci.»
Sara e Lucas allungarono le loro braccia a raccogliere il compagno e quell'ultima luce che li separava dalla rassegnazione.
Si allontanarono dall'edificio e furono inghiottiti dalla notte.

Non li videro per molto tempo.


illustrazione a cura di Livia De Simone