Dopo il grande successo dell'iniziativa #raccontoimprovvisato nel gruppo "scrittori e lettori fantasy" di Facebook (qui il link al gruppo https://www.facebook.com/groups/558862187586176/ ), si è deciso di raccogliere tutti e quattro i racconti, di vari generi fantasy e farne un unico post qui.
di seguito troverete il distopico, scritto a più mani, seguendo gli sviluppi dettati dalla fantasia dei vari partecipanti! buona lettura!!!
L’alba era ancora un miraggio all’orizzonte.
Non era stato facile varcare le mura di Nuova Florentia; entrare agli
U.F.F.I.Z.I. era un’impresa impossibile. Gli Uffici Fusione Fenotipi a Iper
Zigosi Inversa erano il luogo più sorvegliato e protetto della Seconda
Signoria. Gli annuali dei tempi dimenticati narravano di opere di artisti
esposte nella galleria, ma l’arte, nel nuovo mondo, era la manipolazione
genetica.
La
notte si increspò nel sibilo di un hovercraft a impulsi e un fascio di luce
attraversò Piazza della Dinastia illuminando una pattuglia di cloni.
Lucas la
afferrò per un braccio tirandola a sé nell’ombra della via. Osservarono la
piazza: il resto della squadra era al coperto.
«È ora» sussurrò Lucas. Era
giunto il momento di attuare il loro folle piano: entrare negli U.F.F.I.Z.I.
Sara
annuì e tirò fuori il braccio destro da sotto il mantello. Una serie di perle
bioluminescenti avvampò sulla sua pelle, componendo una costellazione che
arrivava fino alla punta delle dita. Lucas si tirò indietro e lasciò che la
Mutafato facesse il suo lavoro.
Al
segnale convenuto, Lucas scoccò una freccia contro il clone più vicino. In
contemporanea il resto della squadra uscì allo scoperto attirando su di sé
l'attenzione della pattuglia. Sara ebbe così campo libero per avvicinarsi al
soldato ferito: dopo averlo toccato le perle bioluminescenti brillarono sul suo
corpo modificandone l'aspetto.
Aveva
assunto le sembianze del soldato. Da quel momento avrebbe proseguito sola,
mentre Lucas l'avrebbe attesa al punto di incontro. Se non l'avesse vista
nell'arco di un'ora, l'ordine era di abbandonare la missione e anche lei.
Con un'arma minuscola, fece fuoco sul clone a
terra e lo vaporizzò all'istante. Si unì quindi agli altri cloni impegnati a
respingere il gruppo di assalitori; al segnale convenuto, questi ultimi si
dileguarono velocemente.
Tornata
la calma nella piazza, il capopattuglia dei cloni ricevette l'ordine di fare
rapporto immediato; l'hovercraft e una nuova pattuglia ripresero l'attività di
vigilanza del sito.
Sara
aprì gli occhi e si mise seduta. La candela della notte segnava l'arrivo
dell'alba, ma era ancora buio fuori. La pendola ticchettava indisturbata nel
silenzio e le faceva eco solo il crepitio del caminetto acceso. Scese giù dal
letto, avvolgendosi nella coperta di lana, ricordo di sua nonna Sara, da cui
aveva ereditato il nome e a piedi nudi i suoi passi scricchiolarono sul legno
tarlato del pavimento. «Di nuovo quello strano sogno» pensò in un sussurro,
mentre aggiungeva legna al fuoco e vi si sedette accanto.
Fuori
della finestra il sipario della notte stava per sollevarsi, pronto a lasciare
il posto alla luce incerta e lattiginosa del nuovo giorno. Attraverso il vetro
sporco, tenuto assieme da vecchi rattoppi di nastro isolante, Sara poteva
ammirare i tetti della sua città, un tempo culla del sapere e adesso ridotta a
squallido ricovero per gruppi di lavoratori a giornata, a cui la nuova
generazione di cloni aveva rubato il lavoro e le speranze.
Si
avvicinò al tavolino in legno, quello vicino alla porta d'ingresso, e sfiorò
con la punta delle dita la cornice del portafoto che vi era poggiata su. Il suo
sguardo si fece cupo mentre il battito del suo cuore risuonava in quella stanza
malmessa. D'improvviso udì un rumore che interruppe quel mistico silenzio.
Qualcuno aveva sfondato la porta della sua casa. Dei passi lesti e pesanti
salivano le scale cigolanti di quell' abitazione malmessa. Adesso qualcuno era
dietro la porta della sua stanza.
Sara
avvicinò cauta l'orecchio all'anta della porta, attenta a non fare il minimo
rumore. Oltre il legno tarlato avvertiva un roco ansimare, piccoli rumori
insignificanti, come lo strusciare di piedi sul pavimento, e infine il lieve
scatto metallico di una sicura disinserita. Il respiro, troppo a lungo
trattenuto, le bruciava in mezzo al petto e un rombo sordo le ottenebrava
l'udito. Ciononostante distinse ugualmente, con raggelante chiarezza, la voce
che la raggiunse superando l'esile barriera della porta:" Sara, bambina
cattiva, siamo venuti a prenderti. È tempo che qualcuno si decida a
correggerti, prima che sia troppo tardi!"
Dal
fondo del pianerottolo, a grandi passi si fece strada l'agente K24, meglio
conosciuta come Malene, con uno spintone fece spostare l'uomo che aveva appena
parlato e con un calcio aprì la porta. Una ventina di uomini armati irruppero
nella stanza. La finestra era spalancata e di Sara non era rimasto nient'altro
che la coperta di lana di sua nonna. Malene si voltò verso il suo sottoposto
«Sei un idiota! Volevi anche cantarle una canzoncina per darle più tempo per
scappare?» e poi si diresse velocemente alla finestra «se vuoi che una cosa
funzioni fattela da sola, diceva mio padre.» e in un balzo si lanciò fuori, sui
tetti.
Sara
corse a perdifiato, scalza e terrorizzata, verso l'unico luogo in cui il suo
aspetto dimesso e la sua aria stravolta non avrebbero dato nell'occhio: la
fontana dei reietti. Là, pur camminando a testa bassa, riuscì senza sforzo a
trovare il vecchio Collector: non era più l'uomo di un tempo, potente,
arrogante, fiero della sua uniforme bianca, talmente candida da accecarla, ma
un reietto piegato dalla vita, cui era stato concesso di vivere solo per via
dei suoi numerosi meriti. Quando lui la scorse, spalancò gli occhi stupito e,
fulmineo come un tempo, la trasse in disparte, in un vecchio androne lercio e
maleodorante. "Non saresti dovuta venire qui! Ci farai ammazzare
tutti!"
Sara riassunse così i fatti degli ultimi
giorni, partendo proprio dalla sera in cui lei e gli altri avevano messo in
atto il loro piano.
Di come, una volta sostituitasi al clone, era
entrata negli U.F.F.I.Z.I. e, con scioltezza, s'era intrufolata nei laboratori
interni, per giungere infine alle grandi celle refrigeranti dove si conservavano
gli embrioni. Del suo tentativo di forzare la serratura elettronica codificata
e della conseguente attivazione degli allarmi anti-intrusione: il dispositivo
di metamorfosi aveva smesso di funzionare e lei era tornata se stessa.
Era
riuscita ad uscire dalla struttura solo attivando l'altro dispositivo in suo
possesso, quello che le aveva conferito l'attributo di mutafato: la bolla
bloccatempo. Averla tenuta attiva ben oltre i due minuti consentiti l'aveva
prosciugata e, stando alle indicazioni della pendola, un sonno lungo due giorni
l'aveva tenuta lontana dalla vita reale.
«E ora? Cosa conti di fare?»
«Devo
trovare gli altri» rispose Sara mostrando al vecchio la piccola capsula che era
riuscita a sottrarre durante la sua incursione. «La partita non è finita.»
«Forse sì.»
«Che vuoi dire?»
«Mi
dispiace tanto, Sara, ma hanno mio figlio.»
Damien, il Collector, agguantò la ragazza,
bloccandole i polsi e di conseguenza entrambi i dispositivi. Cominciò a urlare
a squarciagola per richiamare l'attenzione delle pattuglie di cloni in giro per
la città: due di queste apparvero in breve al limitar della piazza.
Damien
già pregustava il ricongiungimento con l'amato figlio e, magari, un'ulteriore
ricompensa: Lucas e compagni, però, fecero morire sul nascere i suoi sogni di
riscatto.
"Vecchio
pazzo" sibilò Lucas, puntandogli il phaser all'altezza del cuore,
"non crederai davvero che la vita di colei che è destinata a distruggere
questo guscio vuoto che chiamiamo mondo possa fare una fine tanto banale!"
Anzichè sparargli, lo mandò giù con un calcio e, mentre i suoi compagni si
schieravano davanti a loro, pronti a colpire i cloni al loro arrivo, afferrò un
braccio di Sara e la tirò a sé. "L'hai presa? Ce l'hai con te?"
Negli istanti che seguirono, scariche di
phaser attraversarono la piazza da ambo le parti: alla fine del fulmineo
scontro i cloni giacevano riversi sul lastricato. Con essi, però, erano caduti
anche tre membri dei cosiddetti Purificatori.
"Fate
sparire i corpi", ordinò Lucas, indicando quelli che fino a poco prima
erano suoi compagni. "Lui, invece, verrà con noi al covo", concluse
facendo un cenno con la testa in direzione di Damien.
Sgattaiolarono tra i vicoli della città
coperti dalle ultime ombre della notte e s’infilarono velocemente, uno dopo
l’altro nello scantinato segreto che si apriva proprio sotto la veccia basilica
di San Lorenzo. Una volta dentro, Sara e Lucas ricompattarono la squadra e
cominciarono a pianificare una nuova incursione.
- Dobbiamo agire prima che i cloni ci scoprano
– disse Lucas - e questa volta non dobbiamo fallire!
-
Io posso aiutarvi … datemi un’altra possibilità, vi prego – supplicò Damien -
lì dentro c’è anche mio figlio! Lo tengono prigioniero da due anni ma io sento
che è ancora vivo! Conosco gli U.F.F.I.Z.I. come le mie tasche, sono cresciuto
là dentro, nessuno conosce il palazzo come me!
Quella stessa notte, Damien condusse il gruppo
di Purificatori in un vicolo stretto, apparentemente assai lontano dal loro
obiettivo. Attraverso una porticina anonima, però, dopo aver percorso un lungo
corridoio buio, questi si ritrovarono ben presto in un ambiente ben più
tecnologico di quanto s'aspettassero: gli U.F.F.I.Z.I. erano ora sopra le loro
teste.
L'ora
della resa dei conti era infine giunta.
Con cautela il gruppo s'inoltrò nei
sotterranei stranamente incustoditi, fatta eccezione per un unico clone, mezzo
appisolato, davanti a una robusta porta d'acciaio: sbarazzarsene non fu un gran
problema.
Forzata la serratura, i Purificatori si
ritrovarono davanti un lungo corridoio illuminato e due file di celle sui lati
da cui, di tanto in tanto, provenivano lievi gemiti.
"L'ho trovato!", esclamò Damien,
"è mio figlio."
Aperta la cella, il Collector si gettò al
collo del ragazzo e, passata l'emozione iniziale, lo presentò come Derryll ma
Sara, vedendolo in viso, sgranò gli occhi.
"L'ho
già visto tante volte... nei miei sogni. Non è mai stato un incontro
piacevole", disse lei, indicando poi le piccole chiazze squamose presenti
sul braccio e sul collo del ragazzo.
Derryll
cominciò a dire qualcosa, ma un rumore di acciaio graffiante lo interruppe.
Sara si voltò e trattenne il fiato. Una bestia umanoide, coperta di squame
verdognole e alta più di tre metri, veniva verso di loro trascinando una catena
chiodata.
"Quella è una Chimera", disse Derryll
in risposta alle reazioni sgomente dei presenti. "Senza l'antidoto, presto
o tardi, anch'io diventerò un uomo serpente".
I raggi dei phaser presero a illuminare il
corridoio appena Lucas, riavutosi, ordinò di aprire il fuoco.
"Siamo
stati modificati geneticamente per non avvertire dolore né paura",
proseguì il ragazzo, "il signore di Nuova Florentia, dopo aver sistemato
voi ribelli, voleva espandere i suoi possedimenti col proprio esercito di
mutati".
Dietro
la Chimera ne apparvero altre due e tra di loro camminava Malene, con uno
sguardo da leonessa. Sara estrasse la capsula dalla giacca e la caricò con la
poca energia che le rimaneva nel congegno Mutafato. Si illuminò, rivelando
all'interno la figura di un microscopico embrione dalla testa allungata.
Sara ripensò all'incursione precedente, quella
in cui aveva rischiato davvero grosso, quella stessa in cui, grazie alla bolla
bloccatempo, era riuscita a mettersi in salvo, non prima di aver sottratto
quell'embrione dalla camera blindata.
E
ora, grazie al replicatore genico, poteva sfruttare il patrimonio genetico del
Signore di Nuova Florentia contro di lui. I cloni, e presumibilmente anche le
Chimere, erano stati manipolati per obbedire ciecamente a quella sequenza di
DNA.
"Si
chiama Dominator", disse Sara mostrando ai compagni l'embrione quasi fosse
un trofeo. "Lui, e tutti quelli come lui, servono a controllare gli altri.
Un progetto ben strutturato, se non fosse caduto nelle nostre mani",
concluse con una luce di determinazione negli occhi.
Diede un'occhiata a Derryll e socchiuse gli
occhi.
"Portateci dove tenete l'antidoto alla
mutazione", ordinò e il minuscolo Signore di Nuova Florentia ripetè le sue
parole.
Malene
si alzò e fece loro segno di seguirla.
Malene li condusse poco oltre il lungo
corridoio, in quello che era apparso fin dall'inizio un laboratorio
medico-scientifico. Due uomini in camice bianco parvero allarmarsi alla vista
degli intrusi per poi calmarsi e riverire il "mini Signore" appena
Sara mostrò loro l'embrione.
"Dovete
invertire il processo su Derryll", fece la ragazza. "Dategli l'antidoto.
Subito!"
I due non fecero obiezioni, indicando al
giovane il medesimo lettino su cui in precedenza gli avevano iniettato l'agente
mutageno. "Sta' calmo", esordì uno dei medici in direzione del
ragazzo allarmato alla vista degli aghi. "Ci vorranno almeno cinque sedute
affinché il pocesso sia annullato del tutto, ma poi tornerai normale."
"No! Non abbiamo tutto questo
tempo", sbottò Sara, dando voce all'embrione.
"Mio Signore, usare il dialator non è
prudente in questo stadio avanzato della mutazione."
Non scorgendo ripensamenti nel minuscolo
essere, i due spostarono il lettino accanto a una macchina; infilarono due
cannule nelle braccia di Darryll e, attraverso tubi di gomma in cui presto
cominiò a fluire il sangue, lo attaccarono al macchinario purificatore.
"Damien,
tu resta con tuo figlio", sentenziò Lucas. "Noi andiamo a far visita
a Sua Signoria."
Il
gruppo si mosse lungo i corridoi, i sensi in allerta, ma consapevoli del potere
che l'embrione avrebbe potuto esercitare sui nemici. Tutte le guardie che
incontrarono si piegarono al volere di Dominator. Giunsero davanti alla sala in
cui Sua Signoria li attendeva, erano oramai una folla. Il sistema stava
collassando e investendo il suo ideatore.
“Vi stavo aspettando” disse Sua Signoria,
quando la folla fu al suo cospetto. Il volto dall'età indefinibile non mostrava
alcuna sorpresa.
“Anche la quercia millenaria avverte quando il
tempo della fine si approssima. A volte bastano un tremolio impercettibile tra
le fronde oppure un leggero cedimento del terreno dove le radici si afferrano
alla terra bruna. Segnali all'apparenza insignificanti che preludono la
rovina.”
Ciò detto Sua Signoria chinò il capo, come un
condannato in attesa di un verdetto che non avrebbe tardato.
Sara sporse l'embrione perché portasse a
termine il suo lavoro. La piccola creatura strisciò ai piedi di Sua Signoria,
gli occhi crudeli puntati sul nemico, e inaspettatamente questi lo raccolse con
le mani portandoselo vicino al volto. Il corpo dell'embrione si allungò e,
sotto gli occhi esterrefatti di tutti, bucò con una forza inaspettata l'occhio
dell'uomo. Un raccapricciante rumore di carni che venivano divorare si mescolò
con le urla di Sua Signoria. Quando il processo fu completo, questi contrasse
il viso in una smorfia orribile e l'occhio assunse una luce che tutti
conoscevano oramai. Fu con la voce dell'embrione che parlò: «Avete agito da
sciocchi, credevate davvero che io vi permettessi di raccogliere una capsula e
di sottrarmi il potere? Siete perduti, io sin dall'inizio, ho ordito la trama
che vi ha condotti qui. Ora morirete e con voi la rivolta.»
Le
guardie, sottomesse al volere della creatura, puntarono le loro armi e li
circondarono. Non avevano scampo.
Ad un cenno del loro capo supremo, le guardie
aprirono il fuoco sul gruppo di Purificatori. Tutti morirono, eccetto Lucas e
Sara.
"Non crederete mica che avrei graziato
anche voi così velocemente?", ghignò Sua Signoria. "Prima di
lasciarvi morire, voglio che tu, ragazza, mi riveli il tuo potere, quello che
ti ha permesso di fuggire da qui la volta scorsa senza che io ti vedessi. Lo
voglio!"
"Mai!", fu la risposta della
ragazza. "Uccidimi pure ma non lo avrai." Nel vedere Sua Signoria
indicare Lucas, proseguì con maggior impeto: "Sappi, comunque, che la tua
tirannia avrà fine un giorno e Nuova Florentia tornerà libera!"
Sara
sapeva di non aver ancora recuperato le energie necessarie ma non aveva altra
scelta se voleva trarre in salvo il proprio compagno. Fulminea attivò la bolla
bloccatempo; arrischiò un affondo al tiranno, mandato a vuoto da uno scudo
d'energia; inglobò quindi Lucas nella bolla e scappò via. Non senza lasciare
delle granate a tempo all'interno della stanza.
Si diressero ai laboratori, ma si resero conto
che c'era poco che potessero fare. La trappola era scattata anche lì, c'erano
numerosi corpi a terra, e raggiunsero il laboratorio in cui avevano lasciato
Darryl e il padre temendo il peggio. Trovarono il ragazzo chino sul cadavere
del padre. Alzò lo sguardo sconvolto sui compagni. « Sono arrivati prima che il
processo fosse concluso. Non so più cosa sono, ma ho fatto fuori molte guardie.
Non ho salvato mio padre.»
«Darryl, ora dobbiamo andare. Nulla è andato
come avrebbe dovuto, dobbiamo metterci in salvo» disse Sara.
«Perché? A che scopo?»
«Rimaniamo solo noi, siamo l'unica speranza
che rimanga a questo mondo.»
«Siamo solo in tre» rise amaramente Darryl.
«Allora, dovremo accontentarci.»
Sara e Lucas allungarono le loro braccia a
raccogliere il compagno e quell'ultima luce che li separava dalla
rassegnazione.
Si allontanarono dall'edificio e furono
inghiottiti dalla notte.
Non
li videro per molto tempo.
illustrazione a cura di Livia De Simone
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